Le persecuzioni nazifasciste in provincia di Varese


Il primo fu Renzo Coen Beninfante, un musicista di Ancona arrestato a Dumenza l’11 ottobre 1943.
Voleva scappare in Svizzera ma non ci riuscì, è passato alle cronache come il primo ebreo arrestato in provincia di Varese. Il suo destino sarà la deportazione ad Auschwitz, da cui non tornerà più. In realtà la caccia agli ebrei nella provincia di Varese cominciò ufficialmente qualche giorno dopo, esattamente il 25 ottobre, quando il comandante in capo delle SS in Italia Karl Wolff diede l’ordine alle autorità civili di consegnare gli elenchi degli ebrei residenti in provincia, più quelli degli stranieri e degli sfollati che si trovavano in zona in quel momento. Le prime liste che vennero consegnate alle SS contenevano 61 nominativi di ebrei residenti più altri 77 nomi (16 stranieri) di ebrei che provenivano da fuori. Lo scopo era fin troppo evidente, dovevano essere arrestati e deportati.

La provincia di Varese si prestava in modo particolare al tentativo di espatrio, la configurazione orografica e i molti punti di passaggio permettevano varie possibilità, non solo di fuga ma anche di resistenza. Non a caso proprio in queste zone si sono formate alcune tra le prime bande di partigiani nate spontaneamente all’indomani dell’invasione tedesca. Anche prima della guerra la provincia di Varese è stato un luogo di passaggio privilegiato in Svizzera per molti antifascisti perseguitati, e subito dopo l’armistizio attraverso i posti di confine uscirono migliaia di persone, soprattutto militari ed ebrei.

Per questo motivo i tedeschi cercarono subito di ottenere il controllo militare della provincia e dei luoghi di passaggio. Già il 12 settembre unità militari tedesche provenienti da Milano entrarono in città e ne presero il controllo, senza incontrare resistenza. A favorire il loro ingresso fu Albert Lange, commerciante tedesco e segretario del partito nazista a Varese. Altre unità tedesche avevano già preso il controllo di alcuni passaggi di frontiera, soprattutto sul Lago Maggiore. Avevano il compito di impedire la fuoriuscita di italiani e stranieri, soprattutto di ebrei. I loro conti erano fin troppo precisi, risultò subito abbastanza chiaro che la vita stessa degli ebrei era in grande pericolo, soprattutto dopo che si erano diffuse le notizie delle stragi di ebrei a Meina e in altre località del Lago Maggiore. La fuga era quindi l’unica soluzione, e la fuga attraverso i valichi di Varese una delle più praticabili.

Ma su chi potevano contare i tedeschi nella loro sconsiderata caccia agli ebrei? Sicuramente sull’autoproclamata Repubblica Sociale Italiana, fondata il 23 settembre da Mussolini e che aveva Rudolf Rahn come controllore plenipotenziario agli ordini diretti di Hitler. La RSI metterà quindi a disposizione dei tedeschi i propri funzionari sul territorio, per la precisione il prefetto Giovan Battista Laura (e dai suoi successori Pietro Giacone e Mario Bassi), il podestà di Varese Domenico Castelletti e il questore Antonio Salinas. Il prefetto Laura, già vice-podestà di Milano dove si era distinto proprio nella persecuzione degli ebrei, lascerà l’incarico già a ottobre ma passerà indenne il periodo post bellico. Verrà anzi nominato prefetto di Modena. Sarà lui che il 9 gennaio 1950 ordinerà di aprire il fuoco contro gli operai in sciopero delle Fonderie Riunite, causando sei morti e duecento feriti. Domenico Castelletti era nato a Solbiate Olona e prima di diventare podestà di Varese fu podestà per diversi anni proprio nel suo paese di nascita. Fascista convinto, sarà lui a consegnare ai tedeschi Calogero Marrone, il funzionario del comune che produceva documenti falsi per gli ebrei e gli antifascisti in fuga. Marrone fu deportato a Dachau, dove morirà nel febbraio del 1945. Il questore Solinas fu il più refrattario a collaborare con i tedeschi. Era in possesso degli elenchi dei residenti compilati durante il censimento del 1938 ma cercò di prendere tempo. Venne costretto a consegnarli a Werner Knop, commissario distrettuale e capitano della dogana, per ordine diretto di Theodor Saewecke, capo delle SS di Milano e responsabile della strage di Piazza Loreto nell’agosto del 1944. Collaborava anche con i torturatori fascisti della banda Koch, ma non subì alcun processo dopo la guerra perché divenne confidente della CIA.

Nel novembre del ’43 venne emanato dalla RSI un ordine di polizia che prevedeva il concentramento degli ebrei presenti in Italia in campi di internamento, perché considerati stranieri e quindi nemici. Gli ebrei arrestati a Varese venivano quindi mandati nel carcere giudiziario dei Miogni per poi essere trasferiti a San Vittore e poi nei campi di internamento di Fossoli o di Bolzano. Oppure direttamente verso i campi di sterminio. Nel frattempo ad aiutare i tedeschi nel loro lavoro di rastrellamento erano intervenuti i militi fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana, che a Varese aveva installato un ufficio politico investigativo (UPI) con a capo Elia Caldirola, che a sua volta si avvaleva della collaborazione del capo operativo Giovan Battista Triulzi. Era Triulzi che si occupava materialmente dei rastrellamenti insieme ai soldati tedeschi, oltre a partecipare in prima persona alle attività anti-partigiane nella provincia. Entrambi sono riusciti a sfuggire alla giustizia post bellica.

Gli elenchi degli ebrei erano purtroppo ancora disponibili dopo la caduta del fascismo perché il governo Badoglio non aveva abolito le leggi razziali, cosa che avverrà solo nel gennaio del ’44.

Proprio a gennaio arrivò a Varese Franz Stangl, ex comandante del lager di Treblinka, che avrà proprio lo scopo di intensificare la caccia e la deportazione degli ebrei nella provincia di Varese, perché nonostante gli sforzi dei tedeschi il passaggio attraverso le frontiere della provincia era ancora intenso.

Il passaggio avveniva grazie all’aiuto fornito ai fuggiaschi da singoli cittadini o da vere e proprie organizzazioni che si sono attivate nel nord Italia lungo i confini con la Svizzera, sfruttando le loro reti di conoscenze sul territorio. Una delle più attive era quella dell’ingegnere milanese Giuseppe Bacciagaluppi, che fu incaricato da Ferruccio Parri di organizzare la fuga in Svizzera dei militari che stavano disertando dall’esercito repubblichino e quelli che si erano nascosti dopo l’armistizio, ma che fin da subito darà aiuto anche agli ebrei in fuga. I punti di passaggio utilizzati dall’organizzazione si trovavano soprattutto nelle zone di Viggiù e Luino. L’altra organizzazione importante fu l’OSCAR (Organizzazione Soccorsi Collocamento Assistenza Ricercati), fondata dal gruppo scout delle Aquile Randagie e da don Giovanni Barbareschi, che si avvalse dell’aiuto di altri sacerdoti come don Natale Motta, don Andrea Ghetti e don Piero Folli, parroco di Voldomino, che trasformò la casa parrocchiale in un centro di smistamento per chi voleva espatriare. Don Folli, che era legato anche alla DELASEM, una rete clandestina di Genova di assistenza agli ebrei, venne arrestato nel dicembre del ’43 e torturato nel carcere di San Vittore. Riuscirà però a sopravvivere e a tornare a Voldomino alla fine della guerra.

Le varie organizzazioni si affidavano soprattutto a persone della zona, contadini, operai e contrabbandieri, che conoscevano bene i sentieri e che aiutavano i fuggiaschi a passare la frontiera. Spesso però non lo facevano gratuitamente, venivano anzi pagati con una cifra variabile tra le 5 mila e le 10 mila lire a persona, ma anche di più se il passaggio era particolarmente pericoloso.

Purtroppo alcuni di loro lavoravano in realtà per i tedeschi e i fascisti: prendevano i soldi da chi scappava e poi li consegnavano ai loro aguzzini. Uno di questi era un contrabbandiere di Cremenaga di nome Osvaldo Provini, che causò l’arresto di moltissimi ebrei in fuga. Era legato sia al CLN che alla gendarmeria tedesca, e riuscì a occultare per mesi le sue reali intenzioni. Inquietante anche la figura di Mauro Grini, un ebreo che collaborò con Franz Stangl per scovare e catturare gli ebrei clandestini.

Tra gli ebrei varesini che riuscirono ad attraversare la frontiera ci fu anche Salomone “Sally” Mayer, che dopo aver sposato Tilda Vita ereditò la proprietà e la conduzione della cartiera di Cairate. Dopo la fuga della famiglia Vita-Mayer tutti le loro proprietà, compresa la fabbrica, furono requisite dall’EGELI (Ente di gestione e liquidazione immobiliare), un ente fondato all’indomani delle leggi razziali e che aveva il compito di requisire e gestire le proprietà e i beni degli ebrei.

Proprio la spoliazione dei beni degli ebrei fu un grande stimolo per la loro identificazione e il loro arresto. Infatti i sequestri erano operati materialmente dall’Ufficio requisizioni beni ebraici guidato da Otello de Gennaro, e i beni sequestrati venivano immagazzinati in un edificio nei pressi di piazza XX settembre a Varese, da cui però sparivano troppo facilmente. Sono stati anche registrati numerosi saccheggi ai danni delle proprietà di famiglie ebree appena dopo l’arresto, a volte da parte di vicini e compaesani. De Gennaro diventerà poi funzionario del governo militare alleato e poi prefetto della Repubblica.

Tra le tante storie di profughi che cercavano di raggiungere la Svizzera dalla nostra provincia anche quelle del commerciante milanese Alberto Segre e della figlia tredicenne Liliana, che vennero arrestati all’inizio di dicembre dopo essere stati respinti dalle guardie di frontiera svizzere. Qualche tempo prima infatti la confederazione aveva di fatto chiuso le frontiere per paura di un flusso incontrollato di profughi. Erano esclusi dal respingimento i minori di 16 anni e le persone riconosciute meritevoli di aiuti umanitari, ma di fatto le decisioni sui singoli casi erano demandate ai cantoni e ai singoli comandanti dei posti di frontiera. Anche Edda Mussolini, figlia di Benito e vedova del ministro Galeazzo Ciano, riuscì a riparare in Svizzera dopo l’arresto del marito, accusato di tradimento da parte del suocero per aver votato la sua destituzione il 25 luglio. Varcò la frontiera a Stabio nel gennaio del ’44 grazie all’intervento di uno dei sacerdoti della rete OSCAR, don Angelo Griffanti.

In generale si può dire che il passaggio in Svizzera dalla provincia di Varese funzionò abbastanza bene perché furono solo 185 gli arresti registrati di ebrei in provincia a fronte delle migliaia di espatriati, a dimostrazione di come le reti organizzate e le persone comuni riuscirono a salvare la vita a moltissime persone. Le ultime vittime furono probabilmente quelle delle famiglie Herskovitz e Kugler, arrestate nel maggio del ’44. Si sono salvate solo Agata Herskovitz, fiumana di origine cecoslovacca liberata poi a Therensienstadt, e le sorelle Elena e Gisella Kugler, anch’esse fiumane e liberate ad Auschwitz. I responsabili del loro arresto e i rispettivi delatori furono arrestati dopo la guerra ma poi amnistiati.


Ivan Vaghi
(socio ANPI Solbiate Olona)


Per approfondire:

  • F. Scomazzon, Maledetti figli di Giuda, vi prenderemo!; Arterigere, Varese, 2005.

  • A. Gagliardi, Ebrei in provincia di Varese. Dalle leggi razziali all’emigrazione verso Israele; Arterigere, Varese, 2000.

  • F. Giannantoni, La notte di Salò. L’occupazione nazifascista di Varese dai documenti delle camicie nere; Arterigere, Varese, 2001.